La donna dal cappotto blu cammina imperturbabile tra le carcasse di auto bruciate lungo i bordi delle strade. Perfettamente al centro della carreggiata, non si cura degli sguardi sospetti e attoniti dei pochi passanti che corrono veloci radente i muri, come piatte lucertole spaventate. La donna non sa o non vuole sapere quanta strada ancora le rimanga da percorrere tra i cumuli di macerie di una città ormai fantasma. Ha le mani nere e gli occhi inariditi dal fumo, i capelli le ricadono sulla fronte e sulle spalle come erba secca appena falciata.
Il cielo e la strada si fondono in un grigio plumbeo, l’orizzonte è piatto. Da una finestra fa capolino un volto di vecchia, gli occhi sbarrati, una bocca senza più suono, fa gesti ampi con le braccia e con le mani, poi accenna a sporgersi sul davanzale, verso il vuoto, ma da dietro due braccia robuste l’afferrano, la tirano via, richiudono con violenza le imposte, facendo tornare il buio dentro la casa.
La donna col cappotto pare non vedere nulla, non sentire nulla.
Cammina a piedi scalzi sull’asfalto reso rovente dalle fiamme. A tratti si volta, come se una mano invisibile le avesse appena sfiorato una spalla e poi ricomincia la sua marcia, a passi lenti, pesanti.
Un bambino la osserva da dietro un lampione, poi prende la mira e scaglia il primo sasso. Altri lo imitano presto, in una fitta sassaiola.
Ma neanche i piccoli rivoli di sangue che cominciano a colare dalla testa, lungo la faccia, fino al collo possono impedire quel lento andare.
Giunta all’incrocio si ferma e al centro esatto di inginocchia a terra, le mani al petto, il volto al cielo e pronuncia le parole ormai dimenticate.