Il muro

Il muro

Eppure te l’avevo detto che la pioggia mi confonde. No, non nel senso più canonico del termine, piuttosto in un modo tutto particolare che non sono mai stato in grado di spiegare. Però ti avevo avvisata. Tu mi hai risposto che non voleva dire niente, che mica dovevo guidare e affrontare una strada bagnata, e che problema poteva mai essere un leggero stato confusionale, come quello che si ha quando hai bevuto un bicchiere a stomaco vuoto?Continua a leggere…

La marcia

La donna dal cappotto blu cammina imperturbabile tra le carcasse di auto bruciate lungo i bordi delle strade. Perfettamente al centro della carreggiata, non si cura degli sguardi sospetti e attoniti dei pochi passanti che corrono veloci radente i muri, come piatte lucertole spaventate. La donna non sa o non vuole sapere quanta strada ancora le rimanga da percorrere tra i cumuli di macerie di una città ormai fantasma. Ha le mani nere e gli occhi inariditi dal fumo, i capelli le ricadono sulla fronte e sulle spalle come erba secca appena falciata.


Il cielo e la strada si fondono in un grigio plumbeo, l’orizzonte è piatto. Da una finestra fa capolino un volto di vecchia, gli occhi sbarrati, una bocca senza più suono, fa gesti ampi con le braccia e con le mani, poi accenna a sporgersi sul davanzale, verso il vuoto, ma da dietro due braccia robuste l’afferrano, la tirano via, richiudono con violenza le imposte, facendo tornare il buio dentro la casa.
La donna col cappotto pare non vedere nulla, non sentire nulla.

Cammina a piedi scalzi sull’asfalto reso rovente dalle fiamme. A tratti si volta, come se una mano invisibile le avesse appena sfiorato una spalla e poi ricomincia la sua marcia, a passi lenti, pesanti.
Un bambino la osserva da dietro un lampione, poi prende la mira e scaglia il primo sasso. Altri lo imitano presto, in una fitta sassaiola.
Ma neanche i piccoli rivoli di sangue che cominciano a colare dalla testa, lungo la faccia, fino al collo possono impedire quel lento andare.
Giunta all’incrocio si ferma e al centro esatto di inginocchia a terra, le mani al petto, il volto al cielo e pronuncia le parole ormai dimenticate.

Quella mancata indignazione

Continuo a cercare ma quello che trovo è davvero poco, nulla anzi, come se la pandemia avesse reso ancora più irrilevanti la morte e il dolore patiti in luoghi remoti del mondo. Remoti si, ma profondamente legati a noi e alla nostra storia più recente. Il rapporto che mette nero su bianco le atrocità commesse tra il 2005 e il 2016 dalle forze speciali d’elite dell’Australian Defence Force, non sembra aver provocato quell’ondata di indignazione globale che tutti si sarebbero aspettati. O forse io non me ne sono accorta…

Continua a leggere…

Un’altra possibilità

“Non ti preoccupare, non manca molto, siamo quasi arrivati… vedrai, vedrai dove ti sto portando! Un posto bellissimo dove saremo io e te e nessuno a disturbarci. Ti ho già comprato un sacco di vestiti nuovi, un armadio pieno zeppo! Ti piacciono i vestiti vero?
Che sciocco, non so neanche quale sia il tuo colore preferito… vabbè ne ho presi di diversi colori e poi, quelli che non ti piaceranno li regaleremo a qualche associazione benefica. Da lì c’è una vista super, sai, altro che quello squallido marciapiede di città con le sue quattro panchine malandate e gli alberi senza foglie. Nossignore, una finestra che si affaccia sul bosco e le montagne all’orizzonte e il cielo di un blu. Ah non te lo immagini neanche. Ci sono giornate che l’azzurro è di una tale intensità che ti ferisce gli occhi e, l’aria… L’aria è così fresca e buona che te ne potresti anche nutrire, senza bisogno di altro. Col tempo poi mi dirai cosa ti piace mangiare e cosa no… beh, non che io sia un grande cuoco, non cucino quasi mai per nessuno, ma un po’ me la cavo, mi ci devo solo applicare, magari, con un buon ricettario.Continua a leggere…

Fata Morgana

Fata Morgana

L’orizzonte dietro le sue spalle sembrava dissolversi come neve al sole. Mi guardava da sotto l’ombra scura dei capelli, gli occhi due punte di spillo, troppo lontani da poterli afferrare, troppo vicini, incombenti, per poterli schivare. Il pesciolino che avevo afferrato a mani nude sbatteva furioso nella tinozza azzurra. Potrebbe saltare se solo avesse le ali, pensai guardandolo. Con un calcio buttò giù la tinozza e il pesce rovinò sulla sabbia, boccheggiando e dimenandosi, come se lo avessero buttato vivo dentro una padella di olio bollente. Lei lo prese tra le mani, ne osservò gli ultimi spasmi poi me lo porse, come si porge una cosa preziosa a chi non sarà mai in grado di apprezzarne il valore.

Girasoli notturni

E chi l’ha detto che i girasoli non possano fiorire anche di notte? Disse la vecchietta alla giovane infermiera che la guardava incredula mentre le staccava il respiratore dalla faccia, la sollevava sul letto e le sistemava i cuscini dietro la schiena. La notte stava calando rapidamente nella stanza, gli occhi dell’infermiera erano velati dietro gli occhiali, i denti mordevano le labbra sotto la mascherina mentre cercava di accennare un sorriso che la vecchietta non avrebbe potuto vedere, ma poteva sicuramente sentire. La salutò a stento, dicendole che avrebbe subito informato la famiglia e uscì dalla stanza. Dopo dieci passi lenti lungo il corridoio, appoggiò tutto il suo peso contro il muro bianco e pianse…

Ho visto un pesce

E poi a un tratto Mattia corse da me e mi disse, sai ho visto un pesce.
Dove? Risposi.
Fuori dalla finestra, ho visto un pesce nuotare nel mare, proprio dietro i vetri della finestra della mia stanza. Avrei anche potuto prenderlo per quanto era vicino, ma non ho aperto la finestra per paura che l’acqua entrasse dentro la stanza e potesse bagnare tutto e poi tu ti saresti arrabbiata con me, e allora non ho aperto e l’ho lasciato andar via, a nuotare libero. Ho fatto bene?

Riverbero

“Signorina mi sa dire chi ha sistemato lì quel quadro? Disturba il mio lavoro, il riverbero sul pc e poi tutta quella luce…”
“Direttore ma quale quadro mi scusi?”
“Mi prende in giro? Sta di fronte a lei, non lo vede forse?”
“Direttore, la finestra…?”
“Quadro, finestra ma cosa vuole che mi importi… l’importante è che entro domani quella cosa sparisca da questa stanza! Dica agli inservienti di farla portar via…”
“…. come vuole direttore, vedrò cosa posso fare…”

Come canna di bamboo

Cadde non una ma ben tre volte e per tre volte si rialzò. No, non come se nulla fosse. Una smorfia di dolore le aveva contratto la bocca. Noi tutti avevamo visto e sapevamo. Sapevamo che sarebbe stata la sua ultima gara, nessuno di noi intervenne. Era la sua gara, era il suo traguardo e noi, noi potevamo solo stare a guardare e sentire una fitta allo stomaco e stringere i pugni e gridare: “Non ti fermare!”