Puntare. Mirare. Fuoco

Puntare, mirare, fuoco. Puntare, mirare, fuoco. Mi rimbombano sordamente in testa mentre sto seduto davanti alla mia tazza fumante di caffè. Guardo fuori dalla finestra le nubi che si addensano, cupe. Il tornado sta per arrivare.
Le autorità hanno lanciato l’allerta, l’ordine è di prepararsi ad evacuare nel giro di poche ore. Continuo a girare il cucchiaino dentro la tazza del caffè che ormai è un po’ meno fumante, solo, appena tiepido. Non ho dormito questa notte, o, per meglio dire, ho dormito un sonno vigile pieno zeppo di persone, voci, confusione. Ho tirato via le coperte e mi sono steso sul pavimento. Il contatto con il marmo freddo mi ha dato i brividi lungo la schiena. Ho aperto gli occhi e nel buio ho cominciato a guardare le ombre danzare contro il soffitto. Il vento soffiava già forte, le chiome degli alberi sembravano animali impazziti in preda al panico. Mi sono girato su un fianco e ho provato a richiudere gli occhi. A respirare.

Respira, respira, respira. La psicologa che mi segue da un po’ di mesi me lo ripete in continuazione, io ci provo, anche di fronte a lei, faccio finta. In realtà non ci riesco.

Puntare, mirare, fuoco. C’era molta gente che si stava radunando. Era una bella giornata, col sole calato a picco sulle nostre teste, scherzavamo sul prossimo congedo e su quello che ci avrebbero rifilato per pranzo e su quanto ci sarebbe piaciuto stare sdraiati in riva al mare sorseggiando un mojito ghiacciato. Il sudore mi colava abbondante sugli occhi da sotto l’elmetto, la divisa mi si era appiccicata addosso.

Come il pigiama. Ho provato ad aprire la finestra ma il vento ha iniziato a mulinare vorticoso dentro la stanza.

Sudo freddo, mi manca l’aria. Prendo le pasticche che ho sul comodino e ne ingurgito un paio con un bicchiere d’acqua. Ci vorrà un po’ ma alla fine passerà anche questa volta.

“Colpire bersaglio, ripeto colpire bersaglio”. Il segnale erano stati gli spari partiti dalla piccola folla radunata. Dalla mia postazione potevo vedere gli uomini con in braccio i fucili, ma in mezzo a loro a me sembrava di vedere anche i bambini e più distanti le donne.

Puntare, mirare, fuoco. Mi sono rigirato su me stesso e ho iniziato la serie delle flessioni, 100, 200, 1000. Conto, conto a voce alta, conto sempre più forte. Uno, due, venti, cinquanta, cento, centoventi. Puntare, mirare, fuoco. Puntare, mirare, fuoco.

I caccia si erano alzati in volo d’un lampo, in pochi secondi furono sopra la mia testa.

“Guarda anche tu… a me sembra di vedere dei bambini…” Il boato aveva squarciato l’aria rendendola incandescente. I corpi maciullati erano schizzati in tutte le direzioni, al centro un cratere fumante. Avevo bevuto un lungo sorso d’acqua dalla borraccia e mi ero lasciato cadere a terra.

Puntare. Mirare. Fuoco.

La televisione dice che il tornado ha raggiunto già forza 4 e si sta rapidamente avvicinando. Finisco di bere il caffè con calma. Le mie cose stanno tutte dentro una borsa a tracolla. Mi guardo allo specchio, devo fare una doccia, radermi e darmi una sistemata ai capelli. Ci vorrà un po’, prima che possa mettermi in macchina.


Nota a margine…

Perché a un certo punto li abbiamo dimenticati, o forse, non ci siamo mai accorti della loro esistenza e dell’esistenza di quella sporca guerra? 

Afghanistan 6 agosto 2008: Bombe su un banchetto nuziale nella provincia di Nangarhar (est). Per le autorità afghane le vittime civili sono 47, in maggioranza donne e bambini

Lascia un commento